Una crociera nei fiordi della Patagonia, nella parte meridionale del Cile… La sognavo da anni e in questa proposta di viaggio era abbinata a un tour nel nord del Paese.
Qui, nel deserto di Atacama, la nostra base era la cittadina di San Pedro de Atacama, a 2400 m. s.l.m.. In questo antico villaggio, nella piazza dal sapore coloniale, nelle strade di terra fiancheggiate da case di adobe, si respira un’atmosfera di grande fascino e si viene catturati dal passo calmo della sua gente.
È stato bellissimo camminare, il pomeriggio del nostro arrivo, nella Valle della Luna, una distesa di imponenti formazioni di pietra e sabbia, dai colori cangianti, modellate nel corso dei millenni dall’acqua e dal vento.
Al termine della passeggiata, una piacevolissima sorpresa: l’aperitivo, al tramonto, con gli occhi al vulcano Licancabur che si colorava sempre più intensamente di rosso, mentre le nostre guide ci raccontavano una romantica leggenda su questo vulcano innamorato.
Hosteria Pehoé dall’alto Guanachi in arrivo
Il deserto ci ha regalato molti altri panorami meravigliosi, lagune con fenicotteri rosa, geyser spettacolari, ma quello che mi ha ammaliato è il Salar de Atacama, il più grande lago salino del Cile, una distesa a perdita d’occhio di sale bianco candido, un paesaggio quasi surreale. Lasciato il deserto, da Santiago, un volo di più di tre ore ci ha portati, sorvolando le Ande, in Patagonia, nel mio immaginario una regione unica e meravigliosa, “alla fine del mondo”, come dice Francisco Coloane, il grande scrittore cileno.
Atterrati a Punta Arenas, poco dopo la prima emozione: stavamo costeggiando lo stretto di Magellano e quella terra che vedevamo, sfumata, all’orizzonte, era la Terra del Fuoco.
La nostra meta era Puerto Natales, dove abbiamo alloggiato allo stupendo Remota Patagonia Lodge, affacciato sul fiordo di Ultima Esperanza, nomi già di per sé evocativi e ricchi di fascino.
Spiaggetta
La prima tappa, immancabile, è stata la Cueva del Milodon, nelle vicinanze di Puerto Natales.
In questa grotta naturale, più di un secolo fa, è stata trovata la pelle, rivestita di pelliccia, di un animale estinto, il milodonte, che viveva in quest’area tra 14.500 e 10.000 anni fa. Qui si spinse anche Bruce Chatwin, sulle orme di questo animale preistorico e del parente che aveva spedito in Inghilterra quel pezzetto di pelle coriacea e irsuta che da bambino vedeva a casa della nonna, come racconta nel suo bellissimo “In Patagonia”.
Abbiamo poi dedicato due giornate alla visita del Parco Nazionale Torres del Paine, riempiendoci gli occhi con le sue bellezze: grandi distese erbose, habitat naturale dei guanachi e delle dolcissime vigogne, vallate, fiumi e laghi con acque dai colori meravigliosi, ghiacciai sui rilievi più alti e, naturalmente, il Cerro Paine. Questo massiccio montuoso, con le sue Torres e i suoi due Cuernos è l’icona del Parco. Io sono rimasta affascinata dai Cuernos, ho scattato decine di fotografie, perché, cambiando la luce, la distanza, la prospettiva, mi sembravano ogni volta più belli e maestosi.
Le montagne della cordigliera hanno fatto da sfondo anche alla nostra navigazione lungo i tortuosi canali patagonici e un sistema intricatissimo di fiordi, talvolta enormi, che penetrano tra le montagne, arrivando a ridosso di abbaglianti ghiacciai. Quando eravamo a bordo potevamo ammirare il panorama attorno a noi dai ponti della nave o dagli oblò dei saloni e delle nostre cabine. Bellissimo svegliarsi alla mattina e vedere, poco lontano, una lingua di ghiacciaio scendere dalla montagna e arrivare al mare.
Ancora più elettrizzanti le escursioni a bordo delle scialuppe: un giorno siamo sbarcati e abbiamo contemplato il ghiacciaio da una roccia vicinissima; un’altra volta, sbarcati sulla spiaggia, abbiamo attraversato una piccola foresta nativa fino ad arrivare a un terreno di detriti morenici e quindi alla laguna formata dallo scioglimento dei ghiacci e al ghiacciaio stesso.
Quasi incredibili le colonie di cormorani, ma soprattutto di leoni marini, che abbiamo visto abbarbicati su alcune scogliere. Ma l’immagine che ho immediatamente davanti agli occhi quando penso alla crociera è il ghiacciaio Amalia, il suo fronte enorme davanti a noi, con quelle sfumature di azzurro tipiche di tutti questi ghiacciai, e intorno alla nave, ancorata ad aspettarci, la superficie del mare coperta di ghiacci galleggianti. Bellissimo spettacolo da vedere, ma purtroppo un altro segnale dello scioglimento e dell’arretramento dei ghiacciai anche a queste latitudini.
Le emozioni non finivano mai: una sera, mentre cenavamo, un branco di delfini ha affiancato la nave e ci ha seguiti per un lungo tratto. Poi la luce fino a notte…. L’incanto ci coglieva continuamente: un pomeriggio eravamo in un salone della nave, quando dagli oblò ci è apparso uno stupefacente arcobaleno. Io ho definito il Cile “il Paese degli arcobaleni”, non ho mai visto tanti arcobaleni come in questa vacanza.
Terminata la crociera, siamo tornati a Santiago e, dopo un’ultima cena, il nostro gruppo si è diviso: una mattina in città con visita al suggestivo Museo cileno di arte precolombiana per noi che dovevamo tornare in Italia, sveglia all’alba per chi partiva per un altro luogo mitico: Rapa Nui, l’isola di Pasqua, nell’Oceano Pacifico, a 3600 km dalle coste del Cile.
Flaminia – Gennaio 2020