Qualche anno fa, forse un po’ per scommessa, Centocittà ha proposto per la prima volta una vacanza mare-trekking (soft), destinazione Pantelleria.
Da anni volevo vedere l’isola e questa mi è sembrata l’occasione ideale.
Dal nostro hotel affacciato sul mare, a Mursia, la zona del più antico insediamento risalente all’età del Bronzo, ogni mattina, Vito, la nostra guida naturalistica locale, ci accompagnava a conoscere una parte diversa dell’isola.
Attraversando bellissimi boschi di pini marittimi e di lecci sulle pendici della Montagna Grande, camminando lungo sentieri e vecchie mulattiere tra cespugli di mirto e di lentisco, passando nelle varie contrade, abbiamo potuto cogliere le due anime contrastanti dell’isola: la sua natura vulcanica e selvaggia e i terreni coltivati dall’uomo, dalle geometrie perfette. Bellissimi i filari di vite ad alberello estesi a perdita d’occhio, come pure le capperaie a terrazze. Sull’isola il cappero cresce spontaneo e la produzione del Cappero di Pantelleria è diventata molto pregiata.
Lungo i nostri percorsi abbiamo incontrato parecchi dammusi, la costruzione tipica dell’isola, in pietra lavica: alcuni antichi e abbandonati, altri ristrutturati e riconvertiti in strutture turistiche e in splendide ville, ma sempre mimetizzati nell’ambiente circostante.
Sono tutti, anche i più semplici, molto affascinanti ed esprimono il carattere dei panteschi, più contadini che marinai, da sempre alla ricerca di una simbiosi con la loro terra. I dammusi non sono l’unica testimonianza dell’origine vulcanica di Pantelleria, ci sono i bellissimi muretti a secco disseminati per tutta l’isola, le scogliere, nere e taglienti, che sembrano colate di lava da poco solidificate, le acque calde naturali di Cala Gadir e quelle sulfuree dello Specchio di Venere in cui ci siamo piacevolmente crogiolati. Un giorno la nostra escursione ci ha condotti sul vulcano che domina le contrade del sud, il Monte Gibele.
Molto emozionante incontrare, lungo la salita, le favare, getti di vapore acqueo dalle fenditure delle rocce. Arrivati sulla cima, a circa 700 m. s.l.m., stanchi ma appagati, il panorama era stupendo e stupendo pensare che il pianoro, ricco di vegetazione spontanea e a tratti coltivato, dove abbiamo consumato il nostro pranzo al sacco, era la caldera del vulcano ormai spento.
Dopo esserci goduti uno scampolo d’estate a due passi dalla costa africana, siamo tornati a casa portando con noi, oltre a tante emozioni, i profumi e i sapori dell’isola: capperi, bottiglie di passito, sughi alla pantesca, ma anche acquisti fatti nella boutique “in paese”, saldi dei saldi estivi e nuovi capi per l’inverno. Buffo comprare a Pantelleria un giaccone invernale, ma è successo anche questo…
Flaminia – Settembre 2020